DOLCEROMA- TRA FUMETTO E GENERE UN FILM CHE RACCONTA IL CINEMA

di Marta Perego

 

Un film fumettoso e adrenalinico che mescola i generi con un Luca Barbareschi, che veste i panni di un produttore cinematografico senza scrupoli, che esce dalle fiamme con la katana.

Questo è Dolceroma di Fabio Resinaro, il regista milanese classe 1980, che con Fabio Guaglione aveva firmato Mine.

Un film che, attraverso l’ironia e i generi, racconta il mondo del cinema, con giovani registi schiacciati da grandi produttori. Ricatti, bugie, sotterfugi. In una Roma cattiva, corrotta, che invece che puntare sul talento, guarda al suo ombelico. Ognuno gioca il suo ruolo nella scalata e nel mantenimento del potere. A metà tra un videogioco e Suburra, un remix di cinema italiano, dove il tema principale è quello che coinvolge il cinema ma anche tutto il nostro paese, gli scontri generazionali.

Abbiamo intervistato i due protagonisti del film: Luca Barbareschi nei panni del “vecchio” produttore che tarpa le ali alle nuove generazioni e Lorenzo Richelmy, protagonista della serie tv Marco Polo e di film come La ragazza nella nebbia. È lui il “giovane” regista schiacciato.

E voi cosa ne pensate? Questo “nuovo cinema italiano” vi piace?

INTERVISTA A LUCA BARBARESCHI

Anche produttore del film. Interpreta Oscar Martello, produttore senza scrupoli, egomaniaco e intransigente.

Come è arrivato al ruolo?

 Perché non lo voleva fare nessuno. Ho chiamato tanti attori, ma alcuni erano occupati, altri rivedevano nel personaggio dei produttori loro amici, altri non volevano lavorare con me perché stavo producendo il film di Fausto Brizzi ed era appena scoppiato il #metoo. Quindi l’ho fatto io e sono contento. È un personaggio che è me potenziato, ci ho messo la mia esperienza, la mia intransigenza, il mio sense of humor.

L’immagine del mondo del cinema è terribile: un mondo falso, bugiardo e approfittatore. Quanto c’è di vero?

 Tutto. È un mondo che ti mangia, dannato. Se pensi ai grandi talenti che si sono autodistrutti per il cinema: Philip Seymour Hoffman, Robin Williams. Avevano tutto e sono sprofondati in loro stessi. Anche io ho vissuto di eccessi, ma poi mi sono salvato.

Come mai secondo lei il successo porta all’autodistruzione?

Perché sono mestieri destabilizzanti. Quando hai successo, diventa tutto troppo. La fama, la gente che ti riconosce, i soldi. Poi arrivano periodi in cui tutto questo finisce e arriva la depressione. Si vive in costante disequilibrio. Io ho trovato il mio equilibrio vent’anni fa grazie al rehab, al lavoro su me stesso e al lavoro stesso. Fare l’attore, il produttore, vivere nella cultura mi ha offerto la possibilità di rielaborazione. Ma ti puoi solo salvare da solo, l’amore, la famiglia, non c’entrano niente. Non puoi buttare su di loro i tuoi buchi.

Nel film c’è un tema importante: lo scontro generazionale. Oggi è più difficile essere giovani di ieri?

 Oggi è molto più difficile. Il cinema è un settore in evoluzione. Io sono diventato famoso quando l’artista diventava un brand. Io sono Barbareschi indipendentemente dai film che faccio. Oggi no. Ci sono i prodotti cinematografici che si mangiano l’attore. Un attore diventa famoso per un personaggio che interpreta e può essere sostituito in qualsiasi momento tanto non interessa a nessuno. Non c’è più uno star system, anche in Italia.

Una cosa che vedo nei giovani è che c’è molta più spocchia. Gente che è sconosciuta che si rifiuta di fare interviste, è sempre occupata, non si dedica alla promozione. Io faccio sempre tutto, sostengo i miei film, i miei spettacoli, più che posso.

Lei è produttore, attore, direttore artistico del teatro Eliseo… ex parlamentare, oggi la politica le interessa meno?

Non mi interessa più perché io non le interesso. Vorrei sentire più parlare di cultura. Non è possibile che in Italia con tutto il nostro patrimonio, non si parli mai di cultura. Nel mondo tutti ci stimano e copiano, noi ci dimentichiamo chi siamo.

 

INTERVISTA A LORENZO RICHELMY

Nel film è Andrea Serrano, scrittore sognatore, che si ritrova a progettare un film con il mega produttore Oscar Martello.

Giovani- vecchi. Il contrasto generazionale è il centro del film…

Lo è perché questo è il grande tema in Italia. Viviamo in un sistema che non accoglie le nuove generazioni, anche se ormai hanno più di trent’anni. Non sa chi sono, cosa vogliono e li respinge.

Anche tu hai vissuto delle difficoltà da “giovane attore”?

Sì certo. Fare l’attore è comunque scendere sempre a compromessi perché i film sono dei registi. È difficile per le nuove generazioni trovare uno spazio. Però stanno succedendo delle cose, c’è una nuova generazione di registi coraggiosi e mi riferisco a Fabio Resinaro, Matteo Rovere che ha firmato il Primo re. Film del genere che cercano una nuova strada fino a qualche anno fa erano impensabili.

 Cosa vorresti dal cinema e dalle “vecchie” generazioni?

Che dessero più fiducia agli attori. Abbiamo una uova generazioni di attori bravissimi – come Alessandro Borghi per esempio fresco di David di Donatello-, in grado di competere con i colleghi internazionali e di conquistare Hollywood. Il rilancio del cinema italiano ripartirà da loro, ne sono convinto.

 

 

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