Le serie tv dell’estate

di Marta&Maria

Una volta l’estate erano i chiringuiti, le serate in discoteca, i bagni di mezzanotte… oggi… divano e serie tv!

Ecco le serie più attese e che ci sono piaciute di più. E voi che ne pensate?

Stranger Things 3 (disponibile su Netflix)

Davvero potente, divertente, splutter, horror, rocambolesca, nostalgica, entusiasmante questa stagione dello show dei The Duffer Brothers (due ragazzi del 1984 del Nord Carolina) che è diventato ormai un classico contemporaneo. Un cult a cui non si può prescindere, capace non solo di far scoprire gli anni Ottanta a chi gli anni Ottanta non li ha vissuti, ma di dare vita nuova al passato. Pare che la Coca Cola abbia rimesso in commercio la New Coke, flop del 1985 e che ora, dopo che Lucas l’ha bevuta avidamente, stia andando a ruba. Tante citazioni da Ritorno al Futuro a La storia infinita, la cui canzone protagonista di una scena commovente dell’ultimo episodio, Neverending stories cantata da Lihmal, ha raggiunto il record di visualizzazioni, con tanto di Neverending Challenge, una sfida di balletti, lanciata su Instagram da Millie Bobby Brown (la bellissima e bravissima Eleven) e accolta da fan del calibro di Jimmy Fellon e Stephen Colbert. Un successo inarrestabile.

Chernobyl (terminata su Sky)

Un successo straordinario anche per la miniserie della HBO considerata la miglior serie del 2019 che rivive con minuzie di particolari, realismo, umanità e pathos il disastro nucleare di Chernobyl del 1986, basandosi sui resoconti degli abitanti di Pripyat raccolti dalla scrittrice Premio Nobel per la letteratura Svetlana Alexievich nel suo libro Preghiera per Černobyl’. Nel cast stelle come Stellan Skarsgad, Jared Harris e Emily Watson.

Il successo sta nella forma di racconto che fa della suspance il suo punto cardine: tutti sappiamo come andrà a finire ma rimaniamo impietriti di fronte all’accatastarsi di menzogne, bugie, coperture di notizie, difesa dei ruoli. Suspance unita a empatia verso tutti i personaggi, dalla moglie del portiere a Legasov.

Rumors (e teorie dei fan) fanno intendere che, dato che la prossima stagione di Stranger Things sarà ambientata nel 1986 e chi ha visto tutta la stagione sa che i legami con l’USSR sono molti forti, ci sarà un legame tra Sottosopra e Chernobyl. Ma abbiamo fiducia che i Duffer Brothers, qualora decidessero di realizzare un legame così rischioso tra realtà e finzione, lo faranno al meglio.

Orange is the new black 7 (disponibile dal 27 luglio con un episodio a settimana su Infinity)

Di certo una delle serie più amate e iconiche degli ultimi anni, che ha retto il tempo e il numero di stagioni, riprendendosi brillantemente nelle ultime due, che oggi arriva a 7. La stagione che dovrebbe segnare l’epico epilogo. Una serie tutta al femminile, nata in tempi non sospetti, che ci ha fatto ridere, piangere ed emozionare e soprattutto ha reso un colore, l’arancione, il simbolo del cambiamento, raccontando con realismo la vita delle donne in carcere. Il trailer ci racconta di una Piper (Taylor Schilling) che cerca di adattarsi alla vita fuori dal carcere nonostante l’attrazione verso quelle sbarre che forse l’hanno fatta sentire più libera di quanto sia mai stata sia tanta. Il suo grande amore Max (Laura Prepon) è ancora lì, così come le altre detenute che tirano le fila delle loro vite ed esistenze. Taystee (Danielle Brooks) sta per essere processata per la morte di Piscatella e la sua amicizia con Cindy è sempre più in bilico. Tornano anche le altre protagoniste Uzo Aduba, Kate Mulgrew e Natasha Lyonne, quest’ultima lanciata propria da questa serie e poi divenuta mente e volto dietro a Russian Doll (che vi consigliamo di recuperare se non lo avete già visto). Siete pronti al finale?

BIG LITTLE LIES

(in onda, su Sky)

Varrebbe la pena guardare questa miniserie già solo per il cast d’eccezione: Nicole Kidman, Reese Whiterspoon, Laura Dern, nella seconda stagione anche Meryl Streep. Ormai siamo abituati alla narrazione del femminile, non più relegato solamente a ruoli secondari o di sostegno. Spesso le storie che hanno più successo sono quelle dove ci viene presentata una donna emancipata, di successo, sia professionalmente sia caratterialmente. E invece nella cornice apparentemente paradisiaca di Monterey ci immergiamo nella quotidianità di madri borghesi che hanno dovuto rinunciare ai propri sogni per il presunto bene dei loro figli: a lavorare, al college, a una normale vita sentimentale. Uno sguardo al secondo sesso contemporaneo (per dirla con Simone de Beauvoir) che se da un lato attende e ricerca il proprio riscatto dall’altro istituisce una sorta di comunità matriarcale dove vigono solidarietà, complicità, perfino omertà.

GOOD OMENS

(terminata, su Amazon Prime)

Un po’ Dogma un po’ American Gods, la miniserie tratta dal libro di Gaiman e Pratchett non ha convinto proprio tutti per il suo caotico strabordare di sottotrame e personaggi secondari. Tuttavia, l’alchimia che si crea tra i due protagonisti, l’arcangelo Aziraphale e il demone Crowley, amici di nascosto fin dalla cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, fa perdonare le imperfezioni di questa Apocalisse raccontata con humor inglese. L’apparato simbolico dell’Apocalisse giovannea si mescola continuamente con i miti della religione secolarizzata contemporanea, dalle bestie bibliche alle canzoni dei Queen, dalle gerarchie celesti a una Bentley che sfreccia nell’Oxfordshire. In scena l’eterna dialettica tra destino e libero arbitrio, tra possibilità di prevedere la storia e l’interferenza del caso e della volontà (più o meno) umana, che fino alla fine rimane sospesa: l’improbabile coppia Aziraphale-Crowley riuscirà a sventare l’Apocalisse programmata da millenni? O forse il suo fallimento rientra in qualche piano divino? (Da non perdere Frances McDormand che interpreta la voce del Signore e il cameo di Benedict Cumberbatch nei panni di Satana).

LA CASA DI CARTA

(in uscita, su Netflix)

Come spiegare il successo della prima e della seconda stagione di questa serie spagnola, che spesso “parla” il linguaggio della telenovela? Non è solo il susseguirsi dei continui colpi di scena che tiene attaccati al piccolo schermo, né perché in fondo stiamo sempre dalla parte di chi attacca il sistema e ancora crede di potersi ribellare (non a caso la banda del Professore è stata paragonata agli Indignados). Il vero pregio di questa serie è la caratterizzazione psicologica e relazionale dei personaggi, che si scontrano non solo con le difficili scelte di un presente incerto e pericoloso, ma anche con il proprio passato e, soprattutto, con la propria idea di futuro. Personaggi ricchi di contraddizioni, come dimostrano le tensioni sociali e culturali delle città che scelgono come falso nome (abbiamo l’impetuosa giovinezza di Rio, il sangue freddo di Berlino, la caotica intraprendenza di Tokyo, e così via). Tra il capo di questa squadra mascherata da Salvador Dalì (che di eccentricità e trasformismo se ne intendeva) e la forza istituzionale della polizia si intreccia un rapporto basato sui reciproci tentativi di trasformare il proprio rivale in una preda. Ma, anche, di convertire la propria vittima in complice, o, addirittura, amante. In questo gioco di ruoli, anche lo spettatore diventa inevitabilmente un membro della squadra. Basta solo scegliere un nome in codice.

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