Il fascino politicamente (s)corretto dei supereroi (come non li avete mai visti)

A grandi poteri corrispondono grandi responsabilità: questa è la massima che ha dominato ormai più di dieci anni di narrazione del Marvel Cinematic Universe e, anche se meno brillantemente, le trasposizioni cinematografiche del DC Universe. Il successo è dipeso dal fatto che i supereroi non ci sono stati presentati come banali e indistruttibili paladini del bene. Nel corso di questi anni, anzi, li abbiamo visti cadere, sopraffatti da emozioni umane troppo umane, perfino in crisi esistenziali sia adolescenziali sia “di mezza età” (dalla sindrome di Peter Pan di Tony Stark alla trasformazione di Thor in Endgame). Protagonisti delle trilogie più riuscite sono stati supereroi sull’orlo di una crisi di nervi, dominati da un Ego ipertrofico, in competizione tra loro anche nei momenti meno opportuni. Più che modelli e ideali irraggiungibili, essi hanno fotografato le nostre stesse difficoltà in uno specchio più accattivante. Spesso le loro storie ci hanno fatto ricordare che siamo noi stessi a creare i mostri dei quali abbiamo più paura. Ogni storyline si è costituita come una storia di riscatto, dove alla fine il singolo personaggio è riuscito a evolversi sconfiggendo, prima dei supercattivi, le proprie angosce più recondite. Tutto questo è stato possibile soprattutto perché nessuno di questi personaggi è stato un protagonista assoluto, individualista e accentratore, ma ha concepito il proprio progresso in concerto con gli altri. Le dinamiche relazionali dei personaggi hanno infatti conquistato la scena ancora di più delle sequenze dei combattimenti mozzafiato. Questo è stato il modo in cui una certa anima pop dell’Occidente si è rappresentata: come una squadra, e non come una serie di solisti. E proprio come l’epiteto attribuito al primo vero personaggio della storia occidentale, anche i nostri beniamini si sono rivelati essere anzitutto coloro “che hanno molto sofferto”. Ma si è andati oltre. Nel 2009 Zack Snyder aveva insistito sul lato oscuro dei supereroi con Watchmen, così come l’anticonvenzionale Deadpool ha conquistato la sua fetta di pubblico più adulta con la sua trivialità. Tuttavia, non avevamo mai visto sullo schermo un supereroe ontologicamente e profondamente cattivo. The Boys (ideata da Eric Kripke e disponibile su Amazon Prime) riporta i supereroi su un Olimpo inavvicinabile, che li separa nettamente dal resto dell’umanità. E di questi dei racconta l’inesorabile caduta. Lungi dal raffigurarli come indifferenti divinità che abitano un mondo altro, The Boys ci presenta i suoi supereroi come viziose superstar che, basandosi sulla loro reputazione sostenuta da un marketing e da un merchandising molto efficaci, non hanno alcun rispetto per la vita umana e incarnano il volto più inquietante del potere. Non si tratta di una classica distopia, in quanto costoro non sono al servizio del governo: (in)dipendenti di una società privata, la Vought, creano gli stessi problemi che sono poi chiamati a risolvere, senza alcuna considerazione degli eventuali danni collaterali. Ogni situazione di pericolo viene rappresentata e inserita in una narrazione manipolatoria che alimenta il successo e il potere di una ristretta minoranza della popolazione mondiale. I social media e il cinema sono il luogo dove questo spettacolo prende prepotentemente il posto della realtà: i supereroi che salvano in diretta su YouTube scuolabus e vittime del crimine sono gli stessi che poi interpretano il loro personaggio in una serie di pellicole che dominano il botteghino, in un vero e proprio dispositivo di potere autoreferenziale capace di nutrirsi delle sue stesse contraddizioni. Gli oppressi non sono il fine di questi supereroi, ma un semplice target da mantenere sintonizzato e pronto a consumare tutto ciò che ruota intorno alla loro promozione. E se Superman fosse cattivo? Quella che era una calunnia rivolta all’alter ego di Clark Kent qui trova invece una apparentemente angelica incarnazione in Homelander, il Patriota, colui che si presenta come il vero custode dei diritti e dei valori degli Stati Uniti d’America. E se le metafore politiche non mancano di certo, gli ideatori della serie hanno però preferito ricordarci che i protagonisti qui non sono i super, ma un gruppo eterogeneo di anti-supereroi che, con metodi poco ortodossi, vogliono rivelare il grande inganno. Il cui superpotere (almeno per ora) è soprattutto l’ostinazione.

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