I TRE FILM DA NON PERDERE: CAFARNAO, BORDER E RICORDI

Questa settimana in sala trovate tre film che io e Maria vi consigliamo di non perdere. Attendiamo le vostre recensioni!

di Marta Perego

BORDER- CREATURE DI CONFINE

 Un film per mettervi alla prova

Mi è piaciuto perché

Inquietante e fantastico, per palati raffinati (e con un po’ di pelo sullo stomaco), Border è la storia di una donna dal volto diverso e la fisicità massiccia: Tina. Una donna che si è sempre sentita diversa, senza sapere il perché. Vore è l’unico uomo che incrocia nel suo lavoro alla dogana dell’aeroporto che le somiglia. Con lui scoprirà la sua vera identità, imparerà a conoscersi ed accettarsi.Come aveva fatto nel bellissimo Lasciami entrare, Ali Abbasi utilizza i temi del cinema fantastico (là c’erano i vampiri, qui ci sono i troll) per interrogarsi sull’umanità. Border è un film che parla di confini, di amore, di identità, di accettazione.Un film di un’attualità spiazzante, che si pone una domanda: chi sono i veri animali? Forse sono proprio gli esseri umani quando dimenticano l’apertura verso la diversità.

Un mix tra un thriller, una storia fantastica, uno spaccato sociale. La cosa che meno mi ha convinto è la sottotrama noir legata ad una storia di pedofilia che si amalgama in maniera meno convincente al resto della storia.

RICORDI DI VALERIO MIELI

Che cosa succede quando una storia d’amore finisce? Rimangono i ricordi che ci restano appiccicati nella testa, ci tormentano, ritornano, ci immobilizzano.Prendendo forse spunto da quel capolavoro di Se mi lasci ti cancello, Valerio Mieli- il regista del bellissimo Dieci Inverni- firma una storia raffinata ed emotiva. Un film fatto di flashback, sguardi e, come dice il titolo, ricordi. Linda Caridi e Luca Marinelli sono due interpreti perfetti per una storia romantica e stralunata, dove l’amore va oltre il tempo, vive nella nostra mente, cambia, si trasforma, si opacizza e torna luminoso.

Per sognatori o per chi non riesce a dimenticare. Un film terapia.

CAFARNAO- CAOS E MIRACOLI

 Nella Beirut del piccolo Zain non c’è spazio per i sogni. C’è un supereroe, che “non è l’Uomo Ragno”, ma gli somiglia. È un vecchio vagabondo che indossa una tuta da Uomo Scarafaggio, che diventa il simbolo di un’infanzia perduta. Che non può credere alle favole, perché la guerra e gli adulti glielo hanno impedito.Nadine Labaki, regista coraggiosa, confeziona un film emotivamente fortissimo che racconta gli effetti della guerra.La Beirut che viene raccontata con realismo (la regista ha girato 520 ore di materiale, scendendo per le strade della città e coinvolgendo attori non professionisti), è la Beirut dove confluiscono gli effetti di tutte le guerre. Famiglie, bambini, sfollati, donne, madri single che arrivano dalla Siria e dall’Etiopia. Vivono nella paura di essere rimandati indietro e sognano un futuro migliore.

Zain è figlio di una famiglia troppo numerosa e troppo povera. Una famiglia che non si prende la responsabilità nei confronti dei figli che ha messo al mondo. E Zain decide di fagli causa. Da questo espediente narrativo, con dolcezza e sensibilità viene raccontato il mondo degli ultimi, che non si arrendono. Zain Al-Rafeea, l’ammaliante protagonista del film, è un profugo siriano, rifugiato in Libano, alla sua prima esperienza di recitazione. Vive adesso in Norvegia coi genitori e ha imparato a leggere e scrivere, cosa che all’epoca delle riprese non sapeva fare. Una vita migliore che il cinema ha potuto regalargli. I momenti in cui il piccolo Zain si prende cura del piccolissimo Yonas, spaccano il cuore.

Ho letto recensioni che parlano di film furbo e che usa la disgrazia e la povertà in modo ricattatorio. Io l’ ho trovato un film intelligente, uno dei film che più mi hanno emotivamente colpita negli ultimi tempi, che mescola il realismo ad una forte sceneggiatura che tiene incollato lo spettatore. Lo fa commuovere, arrabbiare. Siamo tutti responsabili e dobbiamo sentirci tutti coinvolti. Un ricatto necessario.

 OPINIONI FILOSOFICHE DI Maria Russo

BORDER – CREATURE DI CONFINE

I cardini di questa narrazione fantastica sono i temi dell’identità, del confine e della diversità, che si declinano sia nel percorso di soggettivazione della protagonista, sia nei suoi tentativi di relazionarsi con l’altro – il compagno, l’amante, il padre. Tina riesce a scoprire la verità sulla sua identità: non è diversamente umana, come ha sempre creduto, in un complesso di inferiorità che l’ha sempre fatta sentire emarginata, ma un raro esemplare della sua specie, un miracolo che introduce l’elemento fantastico in un thriller che racconta la realtà della pedofilia. Tuttavia, Tina rimane una creatura di confine: non può più vivere come un’umana ma nemmeno decide, come il suo amante, di emanciparsi attraverso un  conflitto radicale con gli esseri umani. In un contesto dove i confini tra umanità e bestialità, maschilità e femminilità, natura e cultura sfumano in una complessità che interroga radicalmente la protagonista. L’identità di Tina emerge senza per questo cercare di distruggere l’altro, anche se ogni tipo di violenza potrebbe, in linea di principio, essere considerata una risposta reattiva a una violenza più originaria. Qui sta il significato più profondo di questa metafora stratificata (forse troppo) di Ali Abbasi: è possibile riconoscersi, accettarsi e individuarsi senza necessariamente distruggere l’altro. Questo non significa dimenticare, ma anzi, cercare le proprie origini. Senza nascondere la rabbia, la delusione, il dolore. Perché ogni emozione ha un suo preciso odore.

CAFARNAO – CAOS E MIRACOLI

Nadine Labaki sceglie un approccio quasi neorealista per raccontare il degrado territoriale e morale di Beirut, e lo sguardo di un bambino, Zain, che nel film fa di tutto tranne che il bambino. Unico adulto in un film di adulti immaturi, egoisti e incapaci di assumersi le proprie responsabilità, è più cinico e disincantato degli avvocati e del giudice che in tribunale devono stabilire se è possibile citare in giudizio i propri genitori perché incapaci di esercitare il loro ruolo. Zain denuncia e ci fa immergere in uno spaccato sociale dove i colpevoli restano fuori dal carcere, in un circolo vizioso di malavita e ignoranza, mentre a coloro che hanno bisogno di aiuto non vengono riconosciuti nemmeno i diritti umani fondamentali. Zain non ha una carta d’identità e Rahil non ha il permesso di soggiorno: sono fantasmi in cerca di lavoro, famiglia e giustizia. Che però comprendono bene l’unicità di ogni esistenza, anche quando non c’è spazio per tutti. Zain deciderà di non perdonare la propria madre quando lei decide di dare alla bambina che porta in grembo lo stesso nome della figlia maggiore, venduta come sposa bambina. Anche se si muore facilmente e si vive miseramente, nessuno dovrebbe essere sostituibile. E, proprio come ne L’Insulto del libanese Ziad Doueiri (retoricamente più efficace di Cafarnao nel raccontare l’odio), ci si appella alla Legge, alla speranza che al caos si possa dare una forma. Anche se, forse, solo un miracolo ci può salvare.