di Marta Perego
Sono state settimane concitate, tra red carpet scintillanti dalla montée des marches, vestiti sbagliati (quello di Margot Robbie), azzeccatissimi (Elle Fanning), grandi star (Leonardo Di Caprio e Brad Pitt, registi che pare (io non l’ho visto, ho letto chi c’era) hanno fatto un buco nell’acqua (Quentin Tarantino). Film di cui più della metà non verranno visti da nessuno, se non il bellissimo “Dolor y Gloria” di Almodovar e Il traditore di Bellocchio, già nelle sale.
E’ finita l’epopea della serialità che ha tenuto incollati milioni di spettatori in tutto il mondo per otto lunghe stagioni e tanta amarezza, per un finale scontato, affrettato, mal raccontato (Game of Thrones).
Intanto avanzava in televisione il caso che ci ha immobilizzati. Che ha piano piano conquistato tutti, anche chi “io la televisione non la guardo mai”. E ha vinto tutto quello che c’era da vincere.
Premio alle migliori interpretazioni, al migliore intreccio, distopia, iperrealtà, assurdità.
Perché dietro al “Pamela Prati affaire” sta una costruzione narrativa perfetta.
Mi astengo dai giudizi di merito. Quella che sto scrivendo non è un’analisi morale, nè legale. Non ho informatori, non so quanto sia vero e quanto sia falso. La mia è un’analisi critica, da spettatrice appassionata che mercoledì sera è rimasta incollata a “Non è la D’Urso Live” come nemmeno mi era successo per l’ultima puntata di Lost (di cui ci ho capito ancora meno di quanto abbia capito di Eliana Michelazzo).
Quella che è stata costruita è una trama gialla perfetta. Esiste un mistero, esistono delle vittime, esistono dei colpevoli. Esistono mariti che non esistono (come direbbe Maccio Capatonda), villain potenti che si muovono nell’oscurità per non si sa bene quale ragione. Il denaro? Il potere? La celebrità? Il grande ritorno sulle scene?
Ci sono anche elementi pruriginosi, il sesso virtuale tra Eliana e il suo marito (falso) che avrebbe dovuto fare il “magistrato antimafia minorile” – che poi, lei dice, ho scoperto che nemmeno esisteva-. Bugie, accuse reciproche. Eliana Michelazzo e Pamela Perricciolo sono veramente amanti lesbiche che hanno tessuto una tela per farsi largo nello scintillante mondo delle prime serate tv?
C’è lo sdegno degli opinionisti che guardando in camera manifestano il loro sdegno. “Non si tratta il pubblico così”.
E poi ci siamo noi, spettatori, attoniti di fronte all’esibizione di sentimenti, probabilmente finti o, prendendo in prestito il titolo di un bel libro, tanto veri quanto la finzione.
Palma D’Oro a Barbara D’Urso, straordinaria condottiera, storyteller magnifica, che tra una pausa pubblicitaria e l’altra ci ha coinvolti, ammaliati, lasciati sbigottiti.
Altro che romanzo d’appendice, altro che festival che vietano i selfie alle celebrities, altro che serie tv. Quella che stiamo assistendo in tv è la fiction più bella dell’anno. Una presa in giro colossale, forse, ma chi se ne importa, l’importante è che ci abbia appassionati.
Come diceva David Frost “La televisione è un’invenzione che vi permette di farvi intrattenere nel vostro soggiorno da gente che non vorreste mai avere in casa”
Altro che draghi.