PERCHE’ AMIAMO DUMBO

Sta scalando i vertici del box office, commuovendo e conquistando grandi e piccini. A me e Maria il Dumbo secondo Tim Burton è piaciuto e non poco.

Non solo un remake in live action del famoso cartone animato del 1941 fatto in fretta e furia dalla Disney per coprire le perdite di Fantasia (capolavoro ma che all’epoca non era  piaciuto per niente dal pubblico), ma un vero e proprio sequel con personaggi e storie nuove, tra cui la conturbante trapezista volante interpretata da Eva Green.

Dumbo, con le sue dolci orecchie all’insù, racconta la diversità e la sua bellezza. Nel film di Burton alla fine si trasforma in un supereroe che più di Aquaman e con la stessa prontezza di Spiderman, affronta rischi e fiamme con coraggio.

Un novello Edward Mani di Forbice, con una proboscide tutta da abbracciare.

Chi non si è mai sentito almeno una volta nella vita Jumbo Dumbo?

Ecco l’interpretazione filosofica di Maria e la recensione di Amedea, 10 anni.

In questa produzione Disney la poetica di Tim Burton ha forse dovuto abbandonare le sfumature più esplicitamente dark, ma non rinuncia ai temi più cari del regista che da sempre ha saputo ripensare il mondo delle favole. Ancora una volta, al centro della vicenda ci sono dei freaks, che si raccolgono nel clan del circo (una famiglia decisamente poco tradizionale) e vagabondano per gli Stati Uniti che sono appena usciti dal primo conflitto mondiale. La diversità e l’emarginazione sono chiaramente i temi al centro della narrazione, laddove i veri “mostri” sono imprenditori senza scrupolo e narcisisti megalomani. Eppure, al di là dell’apologetica della anormalità (che ha come bersaglio polemico il consueto ordine borghese e benpensante), ciò che interessa a Burton è l’evoluzione dell’identità attraverso le dinamiche relazionali dei personaggi. Il ruolo chiave in questo senso è svolto dalla piccola Milly, che ha, non a caso, sogni differenti dagli stereotipi di una bambina della sua età. Non vuole un costume luccicante e farsi guardare dagli altri, come esplicitamente dice in una battuta a suo padre, ma seguire la strada di un’eroina femminile sui generis per il suo contesto storico, ossia Madame Curie. Il passaggio dalla sua infanzia all’età adulta è rappresentato dal suo rapporto con l’oggetto magico (la piuma di Dumbo, la chiave che porta al collo in ricordo di sua madre): non c’è bisogno dell’oggettivazione del sentimento per ricordare coloro che amiamo o per trovare coraggio e fiducia in se stessi. Magia e scienza si intrecciano in questo live action dove coloro che hanno qualcosa di diverso (le orecchie di Dumbo) o in meno (Hult ha perso un braccio in guerra) hanno delle potenzialità rare e straordinarie. Questo va oltre l’accettazione e il rispetto per le forme di vita differenti da un presunto standard identitario e sociale. Dumbo è molto più di un elefante, così come Hult è molto più di un soldato e di un cowboy, anche se poi entrambi, alla fine della pellicola, tornano a riabitare il loro spazio originario. Il circo, questa eterotopia ambulante (per utilizzare l’espressione di Michel Foucault, filosofo che ha ricostruito genealogicamente l’intreccio tra pensiero dominante ed emarginazione), è il luogo dove questi personaggi possono infine ritrovarsi ed essere se stessi. In un’ambientazione vintage e una scenografia modesta, che non ha niente a che vedere con la Dreamland degli investimenti e degli interessi economici, che più che un parco delle meraviglie è palesemente una distopia del capitale.

Ad Amedea (10 anni) è piaciuto perché: “è una storia che rappresenta l’amore tra mamma e figlio ed è un amore che riesce perfino a vincere il cattivo che pensa solo ai soldi”.

 

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