Di Marta Perego
La domanda che tutti fanno, i fan più o meno accaniti, è: ma rispetto agli altri è meglio?
Non so da quando è partita questa ansia di classifiche. Io lo ammetto dall’inizio: le classifiche non sono mai riuscita a farle.
Però posso dire che C’era una volta a Hollywood è un film di Tarantino. E non solo, è il film in cui Tarantino butta quanto più può di sé stesso. E il suo sé stesso significa: amore incondizionato per il cinema.
“C’era una volta a Hollywood” è un film sul cinema. Sull’industria, sulle idee, sul successo che arriva e magari poi se ne va. Ed è un film di Tarantino, con la sua passione per il passato, il mescolamento, il genere, il cinema italiano degli anni ’60 e ’70.
Siamo nel 1969, in quell’anno in cui il cinema hollywoodiano sta cambiando. Arrivano gli autori, alcuni geniali dall’Europa, come Roman Polanski, esce “Easy Rider”, la pellicola che idealmente fa da spartiacque tra il cinema di prima e quello che sarebbe arrivato dopo. Si sente la brezza della New Hollywood, che essendo cosa nuova, fa apparire tutto quello che c’è stato prima come vecchio e vetusto. E vecchio e vetusto, agli occhi del nuovo cinema, è Rick Dalton, l’attore che ha le fattezze di Leonardo Di Caprio, un ex cowboy della televisione degli anni ’50, che ha vissuto un’epoca di grande fama e successo ma che non è mai riuscito a diventare Steve McQueen e quindi, a detta del suo produttore, l’unica sua alternativa è volare a Roma per fare il protagonista di uno spaghetti western.
La sua disperazione e il suo senso di fallimento sono riversati sul suo esilarante amico, nonché sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt, bello, simpatico, irresistibile).
Intanto arriva come suo vicino di casa l’autore di cui tutti parlano: Roman Polanski, il genio di Rosemary’s Baby. E’ qui che si intreccia la storia con la fantasia. Con una biondissima e ingenua Sharon Tate (Margot Robbie) che passeggia felice per le vie di Los Angeles ed entra nei cinema per vedere un film in cui ha una parte ed entra senza pagare il biglietto (come aveva fatto lo stesso Quentin per il suo primissimo film), inconsapevole che da lì a poco la sua vita perfetta sarebbe stata distrutta dalla follia omicida e senza pietà della setta di Charles Manson.
Ma il cinema può tutto, secondo Quentin Tarantino, anche inventarsi dei finali diversi della storia, come era successo in Inglorious Basterds.
E, senza spoiler, ce la fa come solo lui sa fare.